Uno degli elementi che contribuiscono a rendere le nostre piccole imprese manifatturiere scarsamente competitive è l’elevato costo dell’energia elettrica. Basti pensare al settore della tessitura che oltre ai problemi della concorrenza sleale, della delocalizzazione e delle difficili dinamiche relazionali con la committenza, si trova a sostenere costi per l’approvvigionamento che non hanno pari in Europa, per non dire nel mondo. Un’azienda artigiana tessile mediamente strutturata, con indicativamente numero 15 telai e impianto di climatizzazione, si trova ogni mese di fronte a bollette che arrivano ad oltre i 12.000 euro. Ma anche aziende di dimensioni più piccole, diciamo di 8 telai, arrivano attorno ai 5.000 Euro, con un peso sul fatturato altrettanto devastante.

“Si tratta di un problema noto, che come CNA Federmoda prima e come CNA Area della Piana pistoiese poi, abbiamo sempre denunciato con forza – afferma Luca Santi, Presidente di zona della CNA. Ma quello che è assolutamente inaccettabile è la composizione dei costi che compongono la bolletta. Prendendo come riferimento una bolletta recentemente ricevuta da un nostro Associato di Agliana, a fronte di una spesa per energia pari a 903 euro, l’impresa si trova di fronte ad un totale in fattura di 3.217 euro. Una cifra del genere è del tutto assurda”.

Il problema quindi non è il costo dell’energia in sé ma i numerosi balzelli che ad esso si sommano.
Vi è una componente in particolare che secondo fonti accreditate, incide da sola per il 90% degli oneri di sistema. Si tratta della “componente A3”, introdotta per promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili e assimilate. In altre parole con i soldi pagati per la componente A3 si va ad alimentare il fondo statale utilizzato per erogare gli incentivi a coloro che hanno investito in fonti rinnovabili, come ad esempio i pannelli solari. Sono quindi gli utenti finali, cittadini e imprese, che versano all’Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas questa componente, che negli ultimi 7 anni si è addirittura quintuplicata dal momento che in molti, cittadini ed imprese, hanno usufruito delle agevolazioni previste dalla legge.

“Fin qui tutto bene – riprende Luca Santi – dal momento che, almeno in teoria, si è attivato un sistema che promuove una maggiore autonomia energetica ed un beneficio ambientale comune. Sennonché esiste una forte disparità a svantaggio delle piccole imprese, chiamate a farsi carico più di tutti delle spese. Le grandi imprese in media tensione con consumi superiori ai 8 milioni di kWh invece non pagano la componente A3 oltre tale cifra, così come le imprese con forniture in alta tensione, che pagano importi dimezzati sui quantitativi fra i 4 e i 12 milioni di kWh/mese e zero per i consumi sopra i 12 milioni di kWh/mese. Inoltre il Gestore Servizi Energetici o GSE, il cui socio di maggioranza è il Ministero dello sviluppo economico, acquista l’energia prodotta da chi ha investito in pannelli fotovoltaici, solare termico eccetera a 3,8 centesimi per poi rivenderlo alle varie Sorgenia o Enel a 30 centesimi o anche di più a seconda della fascia oraria. Questo rappresenta un comportamento speculativo inaccettabile da parte dello Stato.

Questi soldi dovrebbero essere restituiti alle piccole imprese e alle famiglie in modo da abbattere i costi dell’energia che ha assunto dimensioni intollerabili.

Ma al di là degli impianti medio piccoli che servono a produrre in parte l’energia elettrica consumata. Esistono invece mega impianti spesso di proprietà di società estere o di gestori di energia che di fatto vendono tutta l’energia prodotta prendendo la maggior parte degli incentivi senza rischiare nulla anzi, gravando ulteriormente sulle piccole imprese, in un momento di crisi che va avanti da anni e che le mette a confronto con paesi e mercati, spesso sleali e dove i costi energetici sono nettamente minori”.

Un altro problema è dato dal fatto che la crisi ed i mutamenti degli scenari economici stanno causando la chiusura di un numero di imprese sempre più alto. Quindi se non ci saranno cambiamenti sulla ripartizione delle spese della componente A3, la quota che pagheranno le imprese che resteranno attive non farà che crescere, visto che l’ammontare degli incentivi è fisso fino al 2032.

“Come al solito – conclude Santi – si penalizzano le piccole imprese, che invece dovrebbero essere sostenute perché rappresentano l’ossatura della nostra economia”.