Sono risolute le parole del Presidente CNA Federmoda Toscana, Bruno Tommassini, che interviene per replicare ai conduttori della trasmissione “Il ruggito del coniglio” di Radio Rai 2 che ieri hanno commentato e ironizzato sulla posizione presa da CNA rispetto alla decisione del Commissario Arcuri di calmierare il prezzo delle mascherine chirurgiche: “ascoltare due conduttori di una trasmissione di Radio Rai 2 che di fronte all’ecatombe che il sistema Italia sta affrontando ridicolizzano il Protocollo nazionale di filiera per la produzione di mascherine, sostenuto dal governo con i produttori artigiani e poi smentito sulla base del costo più basso, è una scena che si giustifica solo per il caos che il Covid-19 ha generato. I toni offensivi nei confronti di uno dei principali comparti quale è la Moda, che rende grande questo paese nel mondo, unito alla totale disinformazione sui fatti, fa di questi conduttori un esempio negativo e deleterio per la ripresa del nostro Paese dopo questo dramma”.

I fatti. Lo scorso 20 marzo CNA e Confindustria hanno messo a punto, con il coinvolgimento del Ministero della Salute, le Regioni, la Protezione civile e lo Sportello d’amianto nazionale, un protocollo per costruire una filiera italiana che potesse riportare nel nostro Paese una produzione ormai pressoché totalmente delocalizzata. Un’iniziativa che ha raccolto anche i ringraziamenti del Presidente del Consiglio e del Commissario Straordinario per l’emergenza Covid19 che il 24 marzo in conferenza stampa dichiarava: “il consorzio moda garantirà 50.000.000 di mascherine al mese, ma a noi ne servono 90: contiamo che aderendo al Cura Italia altre aziende si aggiungano sino a diventare autosufficienti…”.

Il Commissario Arcuri poi con un’ordinanza pubblicata nella Gazzetta ufficiale del 27 aprile n. 108 ha deciso di fissare a 0,50 € il prezzo delle mascherine chirurgiche.

Per gli artigiani questo non è un costo sostenibile – sottolinea Bruno Tommassini – mentre riteniamo siano strapagate per una produzione di tipo industriale. Ricordo che in Toscana il progetto nazionale di filiera per la riconversione di parte della produzione in mascherine ha visto l’adesione di più di 50 imprese che nella fase emergenziale hanno subito donato mascherine a operatori delle forze dell’ordine, vigili del fuoco, Misericordie e a tutti quegli uomini e donne che del mondo del volontariato non avrebbero saputo come fare. Imprese dietro alle quali vivono migliaia di famiglie e che si sono messe a disposizione senza improvvisarsi, ma seguendo le indicazioni fornite dal politecnico di Milano e dalla Regione Toscana producendo mascherine tipo “Toscana 1”.

L’imposizione del prezzo fissata dal Governo è una brutta notizia per le imprese artigiane che hanno cercato di dare un contributo all’Italia nel momento più acuto dell’emergenza mettendo a disposizione conoscenze e competenze e facendo lavorare persone che non hanno gravato sulla spesa nazionale per gli ammortizzatori sociali!

Il ruolo del Made in Italy è stato trascurato e non è stato capito che nessuno “guadagna” con le mascherine. Gli artigiani hanno un valore che viene dalla loro responsabilità etica e sociale in quanto presidio territoriale. Sono le api operaie, un anello debole che sostiene le api regine, le grandi griffe. Chi fa davvero, e fa la differenza, sono quelle mani.

Non solo per chiarezza, nel protocollo era stato anche concordato e calmierato il prezzo pari a € 1,20. Essendo “artigianali” queste mascherine sono fatte a mano da persone che hanno il diritto di lavorare in maniera dignitosa. Il tempo di esecuzione, lavorando a ritmi sostenuti per confezionare una mascherina “tipo chirurgica” si attesta intorno ai tre minuti, quindi il solo costo del dipendente è di circa un euro. Il costo del materiale non incide molto, perché siamo intorno a 0.06 € anche se nell’ultimo mese il TNT, gli elastici, ecc. hanno subito forti rincari. Con la rimanenza, circa € 0,14, piaccia o no, bisogna pagare gli oneri generali d’impresa. Resta quindi per l’artigiano un guadagno davvero marginale.

Ecco perché il prezzo fissato a€ 0,50 non può’ coprire i costi di produzione manuali che in Italia sono ben diversi da quelli praticati in Cina o di una macchina automatica. È bene ricordare che in Italia le aziende del comparto Moda rispettano i contratti di lavoro e la normativa che uno Stato di diritto prevede a tutela di tutti noi. Ciò comporta dei costi che il Commissario Arcuri pare non conoscere.

Pertanto in questa vicenda bisogna distinguere tra la speculazione commerciale di chi importa o produce in serie con processi automatizzati, che va colpita, ed il processo produttivo interno ad una filiera artigianale costruita in modo trasparente e rigoroso che nel momento di massima emergenza è stata esaltata ed apprezzata, ma che ora improvvisamente risulta non essere più “competitiva” e addirittura viene additata di speculazione.

Quella del Governo è una decisione incomprensibile, anche perché gli stessi firmatari dell’ordinanza e del DPCM hanno incentivato da marzo a oggi la riconversione delle aziende e proprio quando si è costituito un raggruppamento capillare di imprese si decide unilateralmente di cambiare le regole e guarda caso da questa scelta chi ne trae vantaggio e spropositato profitto sono solo pochi grandi mettendo in difficoltà tante piccole e micro imprese di un settore già fortemente provato.

Contestiamo e contrasteremo sempre il principio del massimo ribasso, a discapito della qualità e dell’etica del lavoro.

Ragionamento diverso va fatto invece per coloro che diventeranno milionari con gli accordi per l’acquisto di 660.000.000 di mascherine, il fabbisogno di circa 3 settimane, al prezzo di € 0,39 cadauna! Una singola macchina ne produce infatti circa 100 al minuto, nell’arco della giornata di 8 ore ne può sfornare 48.000, per cui, se la matematica non è un’opinione, si arriva ad un fatturato di € 18.720,00 al giorno per macchina. Al netto del costo del materiale pari a circa € 2.880,00 risulta una marginalità giornaliera di circa € 15.800,00 per singola macchina. Se si detraggono le spese generali di ammortamento, il costo delle tre / quattro persone (a esagerare) per il confezionamento, il margine che rimane risulta molto interessante, di sicuro più rilevante di quello delle imprese che producono “mascherine artigianali”. Non solo, è altrettanto vero che il costo di 120-160.000,00 euro di una macchina si recupera in pochi giorni o addirittura si azzera se l’azienda ha ottenuto gli incentivi previsti dal Cura Italia. 

Quindi alla fine chi è lo speculatore? Non certo l’artigiano che lavora con le proprie mani, che ha aiutato il paese con un margine prossimo allo 0. Non accettiamo di passare come speculatori, non fa parte del DNA dell’artigiano!

Non solo, le mascherine chirurgiche industriali sono usa e getta con tutto ciò che ne consegue a livello ambientale. Con il processo artigianale spesso si producono mascherine lavabili e riciclabili che al di là del costo iniziale di sicuro fanno bene all’ambiente!

Tutto ciò perché ciascuno di noi sappia e scelga cosa acquistare e cioè: comprare mascherine a € 1,20 prodotte dalle aziende toscane che grazie anche a questa produzione non hanno messo i propri dipendenti in cassa integrazione e che pertanto buona parte del guadagno ritorna nel sistema Italia oppure acquistare quelle prodotte in Cina?

Chiediamo agli eletti in Senato e in Parlamento della Toscana che si faccia chiarezza. In primis, rispetto alla sottoscrizione e all’equità dei contratti da parte del Commissario Arcuri solo con alcune aziende e al coinvolgimento delle altre imprese che hanno partecipato al Bando Invitalia (che prevedeva un plafond minimo di investimenti pari a € 200.000,00).

Per salvaguardare la spesa delle famiglie sarebbe stato meglio progettare insieme al raggruppamento di imprese promosso da CNA Federmoda e Confindustria Moda lo sviluppo di mascherine lavabili e riciclabili  concordando le modalità per arrivare a un prezzo equo e sostenibile per tutti, produttori e consumatori, consentendo così alle filiere locali di continuare a coprire una parte del fabbisogno nazionale di mascherine rispettose dell’ambiente e al tempo stesso sostenere nei fatti una filiera, quella del comparto Moda, senza aver bisogno di ricorrere a finanziamenti a fondo perduto o altre forme di contributi che invece ora più che mai saranno necessari.

Auspichiamo che, così come accordato alle farmacie, ci sia l’acquisto o il ristoro della differenza di costo fra ciò che prevedeva il protocollo e il prezzo imposto alla vendita.