Pubblichiamo a seguito il testo dell’intervento del Presidente CNA Costruzioni Toscana Andrea Nepi in occasione dell’ incontro di sabato 26 maggio “ Green economy ed edilizia: un matrimonio possibile? Ambiente e difesa del suolo come volani per il settore edile”, che si è svolto all’interno delle  iniziative promosse dalla Provincia di Firenze in occasione della manifestazione Terra Futura.

“La crisi economica che il paese sta attraversando assume una veste e un rilievo specifico per il settore edilizio, e d’altra parte proprio il settore edilizio può svolgere, come in altre occasioni, un ruolo anticiclico importante per superare la recessione, a patto che sappia riorientare in modo sostanziale il proprio campo di intervento. Per far uscire il settore delle costruzioni dalla crisi che attraversa occorre che esso si misuri con le principali patologie del patrimonio edilizio italiano, che riguardano la sua ampiezza ridondante, il suo livello mediamente basso di qualità ed efficienza dovuto all’invecchiamento, il suo forte contributo ai consumi energetici, la sua dispersione e frammentazione che provoca eccessivo consumo di suolo e penalizza le possibilità di sistemi di

mobilità sostenibile; patologie in larga misura ascrivibili ad un regime immobiliare basato sulla rendita. Queste patologie vanno combattute non in termini ideologici, ma con azioni concrete dirette al contenimento del consumo di suolo, disincentivando l’ulteriore espansione delle città e paesi, e spostando l’attenzione, le risorse e gli investimenti verso la riqualificazione urbana e la rigenerazione del patrimonio costruito invecchiato.

Il pensiero di riqualificazione urbana e/o di rigenerazione del sistema insediativo, è iniziato dal come riconvertire aree urbane o industriali dismesse, grossi volumi di ex caserme, impianti ferroviari, patrimonio ex IACP, dove era opportuno ridisegnare complessivamente l’assetto urbano dell’ insieme ed avevano tutti una caratteristica predominante; erano proprietà uniche o poco frazionate Solo da poco si è iniziato a prestare attenzione politica  al patrimonio edilizio abitativo sommandosi ai precedenti con un tema fondante: il tema dell’ efficienza energetica del patrimonio edilizio e dell’ esigenza di ridurre i consumi energetici in tutto il settore civile. Queste motivazioni più recenti (freno al consumo di suolo e ai consumi energetici, miglioramento strutturale)

estendono il tema della riqualificazione urbana dagli insediamenti dismessi o comunque obsoleti a tutto il patrimonio edilizio di vecchia data, ossia al patrimonio in uso. Da politica mirata a determinate particolari situazioni diventa politica generale. A questa progressiva estensione delle motivazioni e del campo di intervento corrisponde anche una innovazione lessicale: nei documenti più recenti è entrato in uso il termine “rigenerazione urbana” a cui si è diffusamente attribuito questo significato più ampio: il PTR esprime l’obiettivo della “rigenerazione del sistema insediativo

per renderlo competitivo”. Visto da un altro punto di vista, quello dello sviluppo economico in generale, la rigenerazione urbana rappresenta la politica per sostenere il settore delle costruzioni e riconvertirlo per lavorare a favore della sostenibilità ambientale e territoriale. Come è noto i consumi di energia del settore civile (residenza e terziario) pesano sull’insieme dei consumi energetici per oltre il 30%, e in particolare pesano per quasi la metà sui consumi elettrici finali. Questo settore è quello che, già negli anni scorsi, ha dato il contribuito più sostanziale all’avvicinamento da parte dell’Italia all’obiettivo europeo di riduzione dei consumi del 20%, oltre a contribuire all’obiettivo del 20% di produzione energetica da fonti rinnovabili. Ma sarà necessario che dia un contributo ancora maggiore nei prossimi anni.

Alcuni provvedimenti riferiti al settore (ultimo il decreto 28 del 3/3/2011) hanno finora privilegiato l’inserimento di fonti energetiche rinnovabili; altri provvedimenti (in particolare gli sgravi fiscali dl 55%) hanno favorito prevalentemente interventi leggeri sull’involucro (nuovi infissi, ‘cappotto’….) e sugli impianti. Il risultato della politica di sgravi fiscali è stata una mole di interventi molto rilevante e complessivamente efficace nel ridurre complessivamente i consumi, anche se spesso si è trattato di interventi parziali, poco organici e quindi dai risultati altrettanto parziali. In ogni caso, gli strumenti per agevolare l’efficienza energetica degli edifici e il risparmio hanno agito finora sul

versante delle normative tecniche (definizioni di livelli minimi di prestazioni energetiche nei nuovi edifici e nelle ristrutturazioni rilevanti) e sul versante fiscale, mentre le politiche urbane e la strumentazione urbanistica dei comuni non sono ancora state reindirizzate in questa direzione e non svolgono ancora il ruolo efficace che potrebbero e dovrebbero svolgere.

Porsi l’obiettivo della rigenerazione del patrimonio edilizio complessivamente inteso significa porsi l’obiettivo di intervenire su insediamenti molto più estesi e che hanno caratteristiche affatto diverse da quelli dove si è intervenuti con la ‘classica’ riqualificazione urbana e i suoi strumenti (i PRU e simili …); si tratta infatti di:

– tessuti urbani che di norma non necessitano di trasformazioni sostanziali dell’impianto urbano e delle funzioni insediate, ma nei quali occorre operare dentro ad un impianto consolidato ( con i suoi eventuali limiti…);

– edifici prevalentemente in uso, dove si richiede di intervenire in presenza dell’utenza o, in alternativa, di disporre di soluzioni ‘parcheggio;’

– proprietà piccole, frazionate ed eterogenee, committenti con ridotta disposizione imprenditoriale e

ridotta disposizione all’investimento;

– interventi la cui fattibilità economica non può godere del sostanziale incremento di valore derivante dal cambio d’uso, che è la principale molla della riconversione degli insediamenti produttivi dismessi.

Ma una caratteristica indispensabile a mio avviso per poter effettuare ogni tipologia edilizia mirata all’efficientamento energetico non può essere portata avanti senza un chiaro e semplice programma di intervento di sostegno pubblico, sia esso come incentivo, come defiscalizzazione, come aumento di valore della proprietà, etc etc.

  • In primis occorre che siano confermate ed estese le detrazioni fiscali che hanno agevolato

negli ultimi anni gli interventi di miglioramento energetico (detrazioni del 55%) e gli interventi di

manutenzione e ristrutturazione (detrazioni del 36%). Chiediamo che venga superata la differenza

ingiustificata di trattamento fiscale fra un intervento di ristrutturazione e un intervento di demolizione e ricostruzione (che ora non può godere della medesima agevolazione), poiché questa differenza condiziona impropriamente la scelta del tipo di intervento più opportuno. Bisogna che anche ove si opti per la demolizione e ricostruzione (senza cambio d’uso) si possa godere della detrazione del 36%, nei limiti della quota di superficie corrispondente a quella demolita.

  • un ulteriore canale di agevolazione fiscale locale viene suggerito a seguito della

reintroduzione di un prelievo fiscale sulle prima case (IMU), imposta per la quale potrebbe prevedersi un periodo di esenzione (o di riduzione) dopo la demolizione e ricostruzione dell’edificio o dopo interventi sostanziali di adeguamento, che facciano raggiungere all’edificio elevati standard di efficienza energetica.

Come ricordavo all’ inizio, una discriminante fondamentale  che distingue gli edifici per una loro riqualificazione è l’assetto proprietario, mono, poco, o plurifrazionato. Mentre la monoproprietà permette interventi nei quali è possibile avere un’ organica valutazione economico finanziaria dell’ investimento e dei suoi tempi di ammortamento, con  una valutazione oggettiva dei benefici dell’ intervento, permettendo degli interventi globali sul fabbricato, seguiti  anche dagli adeguamenti antisismici (argomento non da sottovalutare che meriterebbe un convegno a se) sulla proprietà frazionata, la varietà di esigenze, di prospettive e di possibilità di investimento dei singoli proprietari, ma soprattutto l’impossibilità di svuotare i fabbricati dagli abitanti presume interventi “più leggeri” finalizzati ad un miglioramento che non potrà andare oltre la classe “B “. Tutto questo, date le scarse risorse pubbliche potrà essere realizzato mediante la proposta di “incentivi urbanistici”  in forma di incrementi volumetrici, purché condizionati al raggiungimento di elevate prestazioni energetiche.  Infatti anche in questo caso il bilancio fra i benefici e i costi dell’intervento può essere agevolato da un qualche incremento delle superfici utili, e con esse del valore di mercato finale; le possibilità sono diverse e vanno viste caso per caso: possono spaziare dalla rifunzionalizzazione di logge o di sottotetti magazzini fino a veri e propri ampliamenti

della sagoma.

 

Un’ulteriore ipotesi da approfondire per creare le condizioni per interventi più ‘pesanti’ (di ristrutturazione integrale o sostituzione) anche in caso di condomìni a proprietà frazionata, potrebbe consistere nel mettere a disposizione qualche lotto edificabile di proprietà pubblica per alimentare un meccanismo di rotazione, nei termini seguenti. Il meccanismo richiede che il Comune abbia preventivamente ottenuto la disponibilità di qualche lotto edificabile, cosa oggi possibile attraverso forme di perequazione urbanistica; previa la sottoscrizione di un accordo a tre fra il Comune, un’impresa e i piccoli proprietari di un condominio obsoleto, un lotto viene assegnato all’impresa, che lo edifica e poi cede i nuovi alloggi ai piccoli proprietari, che vi si trasferiscono; il condominio obsoleto viene demolito e la sua area ceduta al  Comune, che potrà così utilizzarla per un nuovo scambio. Questo tipo di operazione richiede una non irrilevante anticipazione finanziaria, che

tuttavia potrebbe essere sostenuta in virtù della preliminare garanzia di vendita del costruito. Inoltre, al posto di un’area libera potrebbe valutarsi anche la possibilità di utilizzare per la rotazione del costruito invenduto.

A giugno 2011 la Commissione Europea ha presentato una proposta legislativa sull’ efficienza energetica. L’obiettivo è quello di facilitare il raggiungimento dell’ obiettivo di aumento dell’ efficienza energetica del 20% al 2020. La proposta della commissione include i seguenti provvedimenti che avrebbero un input enorme allo sviluppo della Green Economy e del settore edile ad esso collegato:

  • Ogni Stato Membro stabilisce uno schema obbligatorio di efficienza energetica. Le società energetiche saranno obbligate a risparmiare ogni anno l’1.5 % del volume delle loro vendite di energia. Questo target può essere raggiunto attraverso l’applicazione di misure di efficienza energetica come il miglioramento dell’efficienza nei sistemi di riscaldamento, l’installazione di infissi con i doppi vetri o l’isolamento termico dei tetti, tra i consumatori finali di energia.
  • Il settore pubblico deve rinnovare ogni anno il 3% della superficie dei suoi edifici a livelli di costo ottimali. Gli edifici devono avere un’area abitabile di oltre 250 m2 per rientrare nel provvedimento.
  • Gli Stati Membri devono assicurare che entro il 1° gennaio 2014, gli schemi di certificazione o di qualificazione equivalente siano disponibili per fornitori di servizi energetici, di audits energetici e di misure di miglioramento dell’efficienza energetica, ivi compresi gli installatori.
  • Dovrebbero essere previsti incentivi per le PMI per intraprendere audits energetici e diffondere best practices.

Attualmente, sempre la Commissione Europea ha varato  il Bando Eco Innovation per Imprese Edili e imprese della filiera delle costruzioni che sapranno introdurre invenzioni tecnologiche grazie alla ricerca. Esso finanzia progetti edilizi eco-compatibili, nella filiera prima citata, in merito alla gestione delle risorse naturali e alle riduzioni dei volumi di rifiuto. Le PMI  sono tra le aziende più attive nel settore con oltre il 65% di richieste. Particolare attenzione occorre a non creare un meccanismo d’immediatezza ma bensì di sviluppo a medio lungo termine che parta da una evoluzione sociale di pensiero, di interazione con il territorio e di chi ci vive salvaguardando in toto le caratteristiche. Permettetemi, non me ne vogliano i colleghi impiantisti, ma non è certo veicolando le poche risorse pubbliche all’ installazione di pannelli fotovoltaici che creiamo un “sistema”. Si crea sistema innanzi tutto “consumando poca energia”. Dobbiamo incentivare la produzione di “certificati bianchi”, o Titoli di efficienza Energetica anche negli appalti pubblici come elemento di valutazione da parte delle pubbliche amministrazioni.

Ampliare il know how fra le imprese mediante sistemi aggregativi che vengano certificati, come il Marchio ECOEDILIZIA, nato dalla CNA di Siena e spero presto ampliato in tutta la Regione Toscana, garantisce “il processo ecosostenibile delle costruzioni” dalla progettazione di base alla domotica all’ interno di un edificio. Ma non finisce con il progetto: tutt’altro, progetta, computa, costruisce, certifica in fase di fine lavori e anche negli anni successivi l’efficientamento dichiarato mediante verifiche, in modo da garantire “tutto il processo”. La piccola e media impresa, che nella maggiore parte dei casi nasce, vive e opera in un territorio poco vasto ha tutto l’interesse a qualificare l’ambiente, a sostenerlo e a migliorarlo, essendo “residenziale per natura d’impresa” e ne maggiormente gratificata se è parte attiva di un processo che renderà migliore le nostre case, le nostre strade, i nostri parchi, il nostro vivere”.