L’indagine realizzata da CNA Industria Toscana e Fondazione Opera mostra come questa componente imprenditoriale sia resiliente e dinamica, sostenendo, anche negli anni di crisi, l’economia e l’occupazione della regione.

La ricerca sulle piccole e medie impreseLa Toscana che verrà, gli scenari evolutivi delle imprese toscane: mercati, tecnologie, opportunità e criticità delle pmi toscane”, curata da CNA Industria Toscana e Fondazione Opera, è stata presentata mercoledì 20 novembre a Firenze da Andrea Di Benedetto Presidente CNA Toscana, Silva Pompili Presidente CNA Industria Toscana, Alessandra Zecchi, Presidente CNA Comunicazione e TA Toscana, Lorenzo Zanni Professore Ordinario Università di Siena, Andrea Manuelli e Alessio Monticelli, ricercatori Localglobal.

I RISULTATI DELL’INDAGINE

Tenuta/incremento della piccola industria (6-19 addetti) nell’ultimo decennio. In primo luogo, nel corso dell’ultimo decennio, che si è caratterizzato per un declino della base imprenditoriale in Toscana, la piccola industria ha  aumentato la propria consistenza ed anche incidenza nel panorama imprenditoriale regionale.  Nel periodo 2008-2018, ovvero nel decennio post-crisi, tendono infatti ad aumentare le imprese attive  nelle classi di addetti 6-9 e 10-19. In particolare, le imprese piccole (6-9 addetti) passano da un’incidenza pari al 4% (14.487 imprese nel 2018) al 5,5% del totale nel 2018 (19.535 imprese). Nella classe di addetti 10-19 si passa invece dal 2,8% (2008) (10.076 imprese attive) al 3,8% del totale nel 2018 (13.333 imprese).

Tendenze ed outlook rimangono positivi. In secondo luogo, l’indagine CNA mostra un profilo di solidità e dinamicità estremamente interessante con riferimento al periodo 2016-2018: se molte imprese dichiarano stabilità nel fatturato e negli addetti (46,6% per entrambi) ed anche nei margini (56,9%), il dato più interessante è quello della prevalenza di un profilo di crescita tra le restanti aziende con i saldi aumenti-diminuzioni estremamente positivi per il fatturato (+22,4%) e per gli addetti (+25,9%).

Un ulteriore fattore emerso dall’indagine che spiega la resilienza di questa categoria di imprese è la loro discreta propensione all’investimento nel periodo 2016-2018: il 69% delle imprese ha effettuato investimenti in nuovi impianti/macchinari, il 58,6% in risorse umane, spesso con l’ingresso di giovani in azienda, il 39,7% ha sviluppato o introdotto nuovi prodotti e quota simile (37,9%) di aziende ha provveduto ad  investimenti d’informatizzazione e/o alla sostituzione di impianti/macchinari obsoleti.

Le prospettive di fatturato, quindi, risultano buone: con il 34,5% delle imprese che dichiara aspettative di crescita dei ricavi a medio-lungo termine, contro il 51,7% che si aspetta un certa stabilità e il mantenimento del livello attuale del proprio giro d’affari.

Il Profilo tipico della piccola industria. Al di là di definire questa componente imprenditoriale rispetto alla dimensione e numerosità di addetti, possiamo scavare un po’ di più sulle sue caratteristiche tipiche come sono emerse dalla indagine CNA. Queste caratteristiche confermano che, per molti aspetti, siamo di fronte ad un modello di piccola impresa tradizionale che, attraverso alcuni adattamenti legati al cambiamento del contesto esterno (es. più difficile accesso al credito sempre più legato ai parametri di bilancio), risulta mantenere la propria competitività, valorizzando i vantaggi dell’impresa familiare e della flessibilità, senza una ‘destrutturazione’ troppo spinta che invece si osserva talvolta in alcune micro-imprese.

Dettagliamo qui di seguito alcune caratteristiche emerse dall’indagine:

  • 67,3% imprese oggetto dell’indagine ha almeno 10 addetti, con una media di addetti per impresa pari a 15,9.
  • 72,4% delle imprese oggetto dell’indagine svolge la propria attività come società di capitali, inoltre il 77,6% delle imprese dichiara di avere un giro d’affari annuale mediamente compreso tra 1 e 5 milioni di euro (soprattutto concentrato nella classe 1-2 milioni di euro). I settori/filiere più incidenti sono quelli delle costruzioni (12,3%) e soprattutto della metalmeccanica (37,9%).
  • Governance: prevale il modello di tipo tradizionale dove proprietà-gestione è accentrata su un unico soggetto (amministratore unico). Tuttavia, ben il 41,4% del totale delle imprese presenta un CdA, ovvero, il primo step verso una forma organizzativo-gestionale più strutturata e articolata.
  • Si tratta d’imprese con prospettiva, anche con riferimento all’età media degli addetti che per il 62,1% dei casi risiede nelle classi di età più giovani: 17,6% (<29 anni); 44,5% (30-49 anni)
  • Addetti: prevale, com’era lecito attendersi la prevalenza delle figure di tipo “operaio”, con una buona percentuale di operai “specializzati” (29% del totale). E’ soprattutto la presenza di questa tipologia di addetti a configurare la presenza di imprese e di attività manifatturiere relativamente orientate alla qualità dei prodotti/servizi (customer care oriented).
  • Vi è ancora una scarsa presenza di competenze high skill (almeno quello formalizzate), segnalate, in via approssimativa, dall’incidenza delle figure con titolo di studio “terziario” (laurea triennale e/o specialistica).
  • Oltre la metà delle imprese dichiara che il titolare e/o i soci lavoreranno ancora per diversi anni quindi il problema del passaggio generazionale non è ancora troppo stringente.
  • Dal punto di vista dei prodotti/servizi offerti sul mercato: 27,6% semilavorati contoterzi; 17,2% prodotti finiti non in serie, ma anche prodotti finiti a marchio proprio (13,8%) e servizi in genere (13,8%). Il fenomeno del contoterzi è molto presente (62,1% del totale), un contoterzi dove spesso si hanno almeno 4 committenti e dove la relazione di lavoro sembrerebbe abbastanza integrata e funzionale, con una percentuale relativamente contenuta di segnalazione di problemi.
  • Quasi la metà delle imprese esporta (48,3%), in particolare sui tradizionali mercati europei (UE: 58,9% del totale export). L’incidenza dell’export è ancora relativamente contenuta e nel 48,1% dei casi non supera il 10% del totale dei ricavi aziendali. Tuttavia, occorre segnalare che poco meno del 30% delle imprese presenta un’incidenza dei ricavi esteri più robusta e pari almeno al 50% e oltre del proprio fatturato complessivo. Le aree di mercato più importanti in prospettiva sono però quelle extra-europee (Stati Uniti, Russia, Far-East, Medio Oriente).
  • Aspetti organizzativo-gestionali: la modalità di acquisizione della clientela/ordini è di tipo tradizionale e prevale in modo netto la gestione diretta dei clienti e dell’area commerciale.
  • Certificazioni aziendali: 44,1% dei casi.
  • Finanziamento degli investimenti: i finanziamenti bancari a medio-lungo termine presentano un’incidenza del 33,8% e l’autofinanziamento aziendale del 17,6%. Entrambe queste forme lascerebbero immaginare un  miglioramento dei margini operativi e degli indicatori di redditività che sarebbero alla base di un possibile miglioramento del rating bancario e quindi dell’accesso al credito e della possibilità di autofinanziare con il cash flow dell’area operativa (margini operativi lordi).

I bisogni e le prospettive. Le problematiche attuali, come emerse dall’indagine, appaiono abbastanza fisiologiche ed in linea con le aspettative: se il mercato e la concorrenza si collocano in cima alle preoccupazioni di queste imprese (calo della domanda e dei consumi 20,5%, e prezzi bassi e concorrenza internazionale 17,3%), anche le problematiche di carattere finanziario e del credito mantengono una discreta incidenza (17,3%). Importanti, a nostro avviso, sono poi le difficoltà a reperire sul mercato del lavoro personale tanto con competenze di tipo medio-alto (specializzato) e quanto con competenze di base/apprendisti (12,6%). Coerentemente, in termini di leve strategiche adottate per il cambiamento aziendale, troviamo l’impegno a mantenere e migliorare il proprio profilo competitivo e di mercato attraverso l’innovazione di prodotto/campionario (16,1% del totale)e  la promozione commerciale (13,4%), ma risultano molto importanti anche elementi strategici quali investimenti su nuovi macchinari e tecnologie (12,5% dei casi) e il ruolo del cd. human capital sotto forma di nuove assunzioni e/o formazione. Abbastanza importante anche la leva relativa alla diversificazione produttiva (11,6%) e a seguire anche la convinzione di aver già intrapreso la strada giusta e/o il percorso di sviluppo più consono alle risorse umane e finanziarie presenti in azienda (“nulla di diverso da quello che già faccio”: 8%).

Se la maggior parte delle condizioni e degli strumenti a disposizione di queste imprese per affrontare le sfide future dipendono da fattori interni alle stesse aziende (investimenti, risorse umane giovani e competenti, livelli buoni di capitalizzazione), alle associazioni ed alle istituzioni che supportano lo sviluppo di questa componente di impresa rimangono ampi spazi di manovra per favorirne il consolidamento e la crescita. A titolo di esempio nei confronti di CNA sono state formulate le seguenti richieste:

  • supporto finanziario, agli investimenti e all’ottenimento di contributi/agevolazioni (18,3% dei casi);
  • promozione/internazionalizzazione (15,9%)
  • creazioni di reti d’imprese e sviluppo di collaborazioni aziendali (15,1%)
  • formazione tecnica e ingresso di giovani in azienda (11,9%).

Si tratta di stimoli volti a creare strumenti innovativi (reti di impresa) che possano fornire un supporto concreto alle imprese che vi aderiscono e che vi investono, oppure anche a ‘ringiovanire’ interventi di sostegno consolidati come quelli nel credito, nella promozione/internazionalizzazione e nella formazione tecnica.