La creazione di ricchezza attraverso le professioni e il lavoro artigiano è uno degli aspetti più unici e sensazionali che la secolare tradizione italiana abbia insegnato al mondo. L’eccezionalità di questa filiera consta di alcuni elementi, tutti essenziali, che ne fanno driver per tutta l’economia italiana. Il primo elemento è quello della qualità della manifattura, un sapere trasmesso per via diretta che necessita di una cura costante e di un aggiornamento riferito immediatamente alle innovazioni tecnologiche che caratterizzano lo sviluppo dei mezzi produttivi. . Nello specifico personalmente ritengo che “Industria 4.0” e, conseguentemente, un efficace ed efficiente processo di digitalizzazione delle nostre aziende può contribuire in modo determinante a dimostrare il valore del nostro operato, facendo decadere il principio fino ad oggi in uso del: “lui me lo fa a meno” oppure come purtroppo spesso accade, “per questo modello sono stabiliti X minuti di lavoro e quindi il prezzo riconosciuto non può essere superiore a Y”, ignorando in tal modo il plusvalore della intera filiera produttiva (anche perché il fattore tempo attiene alla capacità dell’artigiano, che è tanto più veloce quanto più è capace).

Il secondo pilastro del successo dell’artigianato di qualità è il valore reputazionale del marchio Made in Italy. Siamo stufi di regole autoprodotte che consentono a certe realtà di stare sul mercato senza essere nella pratica né “Made” né “ITALY”. Basta una semplice analisi semantica per comprendere di cosa stiamo parlando: “fatto in Italia” non può mai più significare pensato in Italia, venduto dall’Italia, certificato dall’Italia, ma va ripristinato il concetto di ideazione, progettazione e realizzazione nel nostro paese in un contesto unitario. Ciò garantisce elementi intrinseci di qualità ma anche valori etici che ne confermano prestigio e reputazione. Nel nostro paese non sono tollerabili sweatshop, quelle indecenti fabbriche del sudore dove le condizioni dei lavoratori sono prossime alla riduzione in schiavitù. Chi compra italiano, chi cerca la nostra qualità, lo sa e per questo motivo dobbiamo definire parametri e comportamenti che garantiscano l’affidabilità a tutto tondo delle nostre produzioni. Prima di tutto, quindi, la “redistribuzione della ricchezza all’interno delle filiere produttive “, oltre alla sottoscrizione di un capitolato di fornitura che regola i rapporti tra committente e subfornitore, e poi condividere un Codice etico comportamentale e di condotta, a partire dal riconoscimento e il rispetto di linee guida UNI, che regoli e definisca i rapporti all’interno della filiera produttiva, magari indicando integrazioni e suggerimenti in base alla nostra esperienza.

È per questo motivo che, considerando il valore reputazionale non come mero valore immateriale ma come tangibile plusvalore del nostro lavoro, ho letto e apprezzato l’inchiesta che nei giorni scorsi è stata diffusa rispetto ad un‘operazione condotta dalla Guardia di Finanza in alcuni capannoni a Campi Bisenzio. Operazioni “verità” di questo tipo sono le benvenute e, in qualità di Presidente di Federmoda Toscana, ho sempre sostenuto l’opportunità di denunciare condizioni o realtà imprenditoriali che sono fuori dai principi di legalità. Oggi più che mai voglio ribadire che CNA è al fianco di quegli imprenditori che sanno e vogliono denunciare ed è a disposizione per collaborare con istituzioni e organi di vigilanza affinché questa piaga venga contrastata. Il comparto Moda è un settore strategico per la Toscana e per l’Italia intera: tessile, abbigliamento, pelli occupano il 5.3% delle unità di lavoro della Toscana e il comparto copre circa il 30% delle esportazioni di beni. Purtroppo in Toscana si registra nel periodo 2000-2017 una flessione del numero di aziende nel comparto tessile artigiano del 25,46% ed i problemi e le crisi legate al settore si riversano su tutta la comunità e incidono sulla vita reale di migliaia di persone. Costi del lavoro bassissimi e strutture del tutto fuori norma incidono sul prezzo del prodotto che, alla fine, è talmente basso da impedire agli artigiani veri, che rispettano le regole, di competere. La cosa grave è che anche alcune griffe globali usano queste strade per aumentare il profitto, ben sapendo che questa strategia risulta miope e destinata a divorare il loro stesso patrimonio aziendale. Ne deriva che il nostro compito non può essere solo sindacale, ma anche sociale, capace di progettare insieme agli altri attori coinvolti, a partire dalle grandi griffe e con le istituzioni, un futuro per il nostro Paese. Un futuro che chiamerei proprio ‘Made in Italy’. Come fare? È arrivato il momento di sedersi tutti attorno ad un tavolo, creando una filiera socio-politica-economica con le istituzioni, le grandi griffe, gli artigiani conto terzisti che lavorano all’insegna della legalità. Una filiera del progettare che sappia rilanciare la filiera del saper fare. Per farlo la Toscana deve prendere coscienza di ciò che dicevamo: l’artigiano è la linfa del nostro tessuto sociale ed è lo specchio di ciò che siamo. Questo progetto ambizioso non tollera più i ritardi della politica e ha bisogno di contrastare con estrema decisione l’illegalità. Accanto ai distretti cinesi, cui lo stato condona sacche illegali di lavoro, c’è un mondo dell’artigianato, che CNA vuole tutelare e difendere, che sta morendo a causa dell’illegalita’ diffusa e non contrastata, da quella criminale alla oscena deviazione dell’italian sounding. Per contrastare questi fenomeni occorrono misure straordinarie: un piano di azione speciale, che affronti l’emergenza come si fa in occasione di un terremoto. Siamo di fronte a una calamità sociale che coinvolge l’intero paese, non solo la nostra categoria. Noi impiegheremo tutte le nostre forze per tutelare il nostro lavoro, contribuendo a difendere il buon nome dell’Italia nel mondo. Agli altri attori, dalle istituzioni alle grandi griffe, toccherà non lasciare senza risposta questa forte domanda che viene dal cuore pulsante del nostro paese.

Bruno Tommassini, Presidente CNA Federmoda Toscana